Si moltiplicano le segnalazioni di aziende che praticano lo shrinkflation.
Shrinkflation, il nome è complicato, difficile da pronunciarsi ma la sostanza è semplice: il prodotto acquistato ci costa di più ma le aziende vorrebbero farci credere che così non è.
E’ una pratica che si sta largamento diffondendo tra le aziende soprattutto di beni alimentari.
Non è un modus operandi nuovo: negli anni ’60 e ’70 era stato largamente usato. Il termine shrinkflation nasce dalla fusione di termini inglesi: “shrinkage” (“contrazione”) e “inflation” (“rincaro”).
Se mettiamo da parte un attimo la fretta della spesa del fine settimana e prestiamo attenzione a ciò che compriamo, osservando le confezioni dei prodotti ci accorgeremo che ciò che acquistiamo si sta “rimpicciolendo” ogni anno che passa.
Ciò vale sia per le confezioni che, soprattutto, per il peso di ciò che vi è contenuto all’interno.
Il problema per il consumatore è che a tale riduzione non corrisponde un calo dei prezzi.
Organizzazioni a tutela del consumatore hanno presentato un esposto all’Antitrust ed a 104 Procure della Repubblica, chiedendo di aprire indagini volte a verificare se questa prassi sia legale o se invece configuri reati come truffa o pratica commerciale scorretta.
Cos’è la “shrinkflation”?
La shrinkflation è quel processo con cui si riducono le dimensioni dei prodotti di largo consumo mantenendo però sostanzialmente i prezzi invariati, se non aumentandoli.
L’occhio cade sul prezzo indicato sullo scaffale che, come detto, rimane invariato o maggiorato di poco.
Variando il quantitativo, varia ovviamente anche il prezzo al kg o al lt, un prezzo che però è sempre indicato in carattere assai più piccolo ed è annegato in altre scritte presenti sull’etichetta in esposizione.
Tutto ciò avviene sotto lo sguardo “inconsapevole” del consumatore, il quale, nel momento in cui acquista, ad esempio, una busta di patatine, difficilmente si chiede che dimensioni aveva la confezione di quello specifico prodotto uno o due anni prima.
Nè può sapere quante patatine c’erano nella confezione.
Chi va a fare la spesa si trova davanti lo stesso pacchetto, che è abituato a comprare, e lo stesso prezzo di sempre. A cambiare è il contenuto, il numero di patatine all’interno, 5 o 10 in meno. Una differenza minima che per l’azienda, sui grandi numeri, significa un alto guadagno.
Mangiando le patatine ci verrà sete: acquisteremo quindi una lattina apparentemente identica, ma in realtà leggermente ridimensionata nel diametro o nell’altezza rispetto alla solita. E così via.
Il vero problema è che questo escamotage quasi impercettibile si moltiplica di prodotto in prodotto. Pensiamo a cosa significa se lo moltiplichiamo per tutti i prodotti che mettiamo nel carrello della spesa.
Il raggiro è così servito senza che nessuno se ne accorga. E gli esempi possono essere infiniti.
Alcuni esempi
Cambia il numero di biscotti contenuti in un pacco, cambia il numero dei fazzolettini di carta nei pacchetti (molte marche li hanno ridotto da dieci a nove), cambia il contenuto dei flaconi da 750 a 700 ml.
E la pasta? I pacchi di pasta che tutti ricordiamo da “mezzo chilo” ora sono “dimagriti” a 450/400 grammi.
La società produttrice del famoso cioccolato Toblerone, qualche anno fa, per far fronte all’aumento del costo del cacao ridusse il numero dei denti della barretta di cioccolato, aumentando gli spazi tra l’uno e l’altro, per risparmiare materia prima mantenendo in apparenza il medesimo costo sullo scaffale.
Per non parlare delle confezioni di bagno schiuma, dentifrici e detersivi che, ormai non è più una novità, sono riempiti sino a tre quarti.
E dei rotoli o rotoloni di carta igienica ne vogliamo parlare?
Lì il trucco è nel diametro del rotolo: stessa dimensione del rotolo, stesso packaging, ma se il rotolo ha un diametro maggiore la carta arrotolata è minore. Anche 50 centimetri in meno di prodotto fanno la differenza: in una confezione da 10 rotoli sono 5 metri in meno di prodotto.
Moltiplicato per i prodotti venduti….lascio a voi le considerazioni in merito.
Le tecnologie sempre più sofisticate del packaging (“imballaggio”) riescono spesso a mascherare questi ridimensionamenti del prodotto.
La situazione
I primi a lanciare l’allarme sono stati i tecnici e gli economisti dell’Istituto di statistica britannico (Ons, Office for National Statistics).
Le loro rilevazioni, negli ultimi sei anni, hanno accertato circa 2.500 casi in cui le confezioni di prodotti (soprattutto alimentari e per l’igiene della casa) sono state ridimensionate in peso e quantità.
La situazione in Italia è stata fotografata da Istat.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica dal 2012 al 2017 i casi analoghi registrati in mercati, rivendite e supermercati sono stati 7.306.
Nello stesso periodo, per 4.983 prodotti è stato modificato non solo il confezionamento ma anche il prezzo.
In questi casi il nostro Bel Paese sa farsi valere stracciando la perfida Albione!
Cosa fare per tutelarsi?
La triste realtà è che, in Italia, manca un monitoraggio costante del fenomeno della “shrinkflation”.
Il problema è che tutti sanno, l’inflazione si attesta ormai sull’8% annuo, ma il consumatore può poco o nulla.
E poco a nulla interessa controllare a chi a ciò è preposto. Ma non è una novità.
Del resto il vantaggiosissimo passaggio, per il commercianti, da “tutto a 1000 lire” a “tutto 1 euro“, qualcosa ci ha insegnato.
Ma l’italiano medio si lamenta, ma poi dimentica troppo presto e troppo presto crede alle favole che questo o quel politico millanta come specchietto per le allodole che non potrà trovare realizzazione.
E voi, lo sapevate?
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