La mostra Goya e la ribellione della ragione è visitabile al Palazzo Reale di Milano sino a marzo.
L’allestimento è curato dallo storico dell’arte spagnolo Víctor Nieto Alcaide.
Questa mostra riprende il filo di un precedente allestimento, realizzato sempre a Palazzo Reale nel 2010, intitolata Goya e il mondo moderno.
Quella mostra si concentrava sull’influenza esercitata da Goya (1746-1828) su artisti moderni e contemporanei mediante il confronto tra le opere di questi ultimi ( tra gli altri Picasso, Delacroix, David, Klee, Miró, Pollock) e alcuni lavori di Goya.
Tale elemento emerge anche in questa nuova mostra nella quale, diversamente dalla precedente, sono esposte solo opere dell’artista spagnolo.
E’ un vero peccato che alcune delle tele più note dell’artista (La famiglia di Carlo IV, la Maya Desnuda, la Maya Vestida, il Ritratto della Duchessa d’Alba in bianco, L’esecuzione del 3 maggio 1808) siano rimaste a Madrid.
Cosa vedremo
La mostra è comunque molto ricca e l’allestimento si presenta chiaro e ordinato.
La mostra sia apre con una sorta di “biglietto da visita”: Annibale vincitore osserva l’Italia dalle Alpi per la prima volta (1771).
Tale opera, la prima significativa di Goya, fu presentata in occasione di un concorso artistico presso l’Accademia di Parma (durante il suo viaggio di formazione in Italia) nel quale non risultò vincitore ma ottenne una menzione d’onore.
L’opera costituisce un caso atipico nella produzione di Goya per via del soggetto storico e dello stile ancora legato alle convenzioni accademiche, presto da lui rielaborate in un approccio artistico estremamente personale.
Sempre nelle prime sale spiccano anche due dei tanti autoritratti realizzati da Goya nel corso della sua vita: l’Autoritratto al cavalletto (1785) e Francisco Goya y Lucientes, Pintor (1797-99), incisione all’acquaforte.
E’ significativo che Goya abbia scelto di aprire una serie di opere che prende di mira i vizi e le ipocrisie umane proprio con il suo volto, accompagnato dalla specifica “pintor”.
Goya sembra così ribadire la sua volontà non di ergersi a moralista bensì di usare la propria arte come medium privilegiato per esprimere la sua personale visione del mondo).
Goya ribelle e coerente con la sua arte
Significativi sono il pendant di ritratti che Goya realizza per i sovrani di Spagna nel 1789.
Goya lavorò a lungo per committenze aristocratiche o reali, senza mai scendere a compromessi con la sua arte, rimanendo fedele alla sua volontà di autonomia espressiva.
Questi ritratti ne sono la conferma: non vi è nulla di idealizzato in queste tele, anzi.
Il re e la regina sono impietosamente rappresentati con tutti i loro difetti (fisici e morali).
Lo sguardo diremmo “poco sveglio e vuoto” del re è perfettamente in linea con la sua figura che, nel complesso, si presenta estremamente piatta e quasi scialba.
L’abito rosso rende il suo corpo quasi bidimensionale, soprattutto se confrontato con i panneggi del tendaggio verde in secondo piano e con la figura della moglie, la quale sembra dotata di una tridimensionalità molto più solida e di uno sguardo decisamente più “sveglio”!
In questa coppia di ritratti è riassunta tutta l’arte di Goya. Egli vuole rimanere sempre coerente con sé stesso e con le proprie idee, senza edulcorare la realtà e senza scadere mai nel servilismo verso il Potere.
Un’arte che mira a mettere in luce tutti gli aspetti della realtà e della società, con un occhio sempre critico e disincantato.
Goya e la sua idea di arte
Questa libertà espressiva dell’arte è qualcosa che l’artista aragonese si impegnerà sempre a sostenere, anche (e soprattutto) durante il suo periodo di docenza presso la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando.
In un suo scritto datato ottobre 1792 scrisse: “non ci sono regole in pittura (…) l’obbligo servile di far studiare o seguire a tutti la stessa strada è un grande impedimento per i giovani che professano quest’arte difficilissima”; e ancora, “non trovo mezzo più efficace per far progredire le Arti (…) che (…) lasciare correre in piena libertà il genio dei discepoli che desiderano impararle senza opprimerli”.
Libertà nell’arte, dunque, ma anche libertà di pensiero. Evidente è la sua vicinanza alle idee illuministe e libertarie di matrice francese, da lui condivise con un circolo di amici intellettuali e letterati cui dedicò anche alcuni ritratti.
Goya e la sua visione sulla corrida
L’artista è fortemente critico verso l’uso e costume della corrida, elemento centrale della tradizione spagnola, che considera estremamente pericoloso e violento, come mostrato da diverse tele ed incisioni presenti in mostra.
Celeberrima è la serie incisoria della Tauromachia (1814-16).
Goya prende di mira una pratica non solo sanguinosa, poiché porta alla morte inutile di un animale, ma anche potenzialmente pericolosa per coloro che la conducono e vi assistono.
Inizialmente le incisioni sono trentatré, poi uno stampatore francese, nella seconda metà dell’Ottocento (l’artista è già morto da quasi trent’anni), scopre che sette lastre sono incise anche sul retro, così il numero sale a quaranta.
Anche se probabilmente non sono state create nell’ordine in cui furono successivamente pubblicate, le incisioni sono suddivise in tre parti.
La prima è dedicata alla storia della tauromachia, a partire da un’epoca indefinita per giungere al dominio arabo, al medioevo del Cid e al Rinascimento, quando il toro veniva affrontato a piedi o a cavallo (dai nobili), senza che ancora vi fossero delle vere e proprie regole codificate.
La seconda è dedicata alle gesta di alcuni matadores delle due scuole che nel Settecento posero le basi della corrida moderna, ovvero quella aragonese e quella andalusa.
La terza parte rappresenta diversi lances della lidia con esiti differentemente drammatici per uomini e tori.
La sensibilità sociale di Goya
La sensibilità sociale di Goya è evidente in alcune tele che mostrano alcune forme istituzionalizzate e accettate di violenza: quella verso gli ultimi, gli emarginati, gli ingiustamente perseguitati.
È il caso di opere come Escena de Inquisición (1808-12).
Goya, per tutta la sua vita ed in tutte le sue opere, è sempre stato estremamente attento e recettivo verso ciò che accadeva attorno a lui, in politica come nella vita quotidiana, trasferendolo nella sua arte.
Dall’avversione per l’Ancien Régime alla delusione data dall’instaurarsi del Regime del Terrore, sino all’invasione napoleonica della Spagna e alla Guerra d’Indipendenza che ha martoriato la popolazione civile, Goya passa dall’entusiasmo per le novità rivoluzionarie all’amarezza disillusa per la piega presa dagli eventi.
Ciò traspare anche dalle sue opere che divengono sempre più cupe e dominate da atmosfere a metà tra l’inquietudine e l’angoscia.
La serie dei disastri
Nella serie dei Disastri lo stile di Goya diventa crudo e violento, come mostrato ad esempio in Estragos de la guerra che rappresenta una scena di violenza perpetrata nei confronti di una famiglia di civili spagnoli e della loro abitazione durante la Guerra d’Indipendenza, segnata dalla resistenza della popolazione contro le truppe francesi.
La casa è distrutta e i corpi dei suoi abitanti sono riversi a terra assieme a parte dell’arredamento (si intravede infatti una sedia sulla destra).
Difficile non pensare, guardando questa piccola incisione, a Guernica (1937) e al modo con cui Pablo Picasso, più di un secolo dopo, ha scelto di rappresentare le distruzioni prodotte dal bombardamento nazifascista della città basca.
Nella seconda metà della sua vita, insomma, la produzione artistica di Goya si fa sempre più beffarda e mordace, realizzando una vera e propria “Fenomenologia delle brutture umane” esattamente nel periodo in cui Hegel scriveva la sua “Fenomenologia dello Spirito”.
La forza visionaria e caricaturale delle figure delle sue opere non ci impedisce di intravedere comunque i bersagli (totalmente concreti e reali) a cui la sua invettiva si rivolge.
In conclusione
Oltre 200 anni ci separano da Goya, ma continuiamo a percepirlo straordinariamente attuale e vicino a noi. Ci piace e colpisce.
Ci parla con sincerità dell’essere umano e dei suoi drammi, facendosi portatore della crisi della sua epoca. Guerra, ipocrisia, corruzione, violenza verso coloro che sono percepiti come “diversi” o “pericolosi”.
Sua epoca… e cosa c’è di diverso nella nostra epoca? Forse i modi e le forme, non certamente la sostanza!