In apparenza la notizia è una non notizia: un insegnate, il professor Enzo Novara, all’eta di 67 anni, dopo 40 di insegnamento, è andato in pensione.
La scuola è il liceo classico Massimo D’Azeglio di Torino, un istituto storico della città.
Tra quelle mura l’allora studente Enzo Novara aveva studiato prima di andare a Milano a studiare Filosofia.
Lì aveva trovato dei grandi maestri come Enzo Paci, Ludovico Geymonat, filosofo della scienza, e Mario Dal Pra, grande storico della filosofia.
Successivamente ha intrapreso la sua carriera di docente di filosofia.
L’ultimo giorno da docente di Enzo Novara
Le ultime ore prima della pensione scorrono nella normalità per il professor Novara, in attesa dell’ultima campanella.
Certamente il professore qualcosa si aspettava ma non quello che sarebbe successo di lì a poco.
La campanella, inesorabile, al suo tempo, suona.
Gli studenti chiedono al professore di restare in aula e gli chiedono se è pronto.
Le cronache citano la risposta del professor Enzo Novara: “Ma pronto a che cosa? Per un anno intero mi sono chiesto se fossi pronto ad andare in pensione. E la risposta è che ci si deve preparare bene“.
Nel frattempo studenti e studentesse si sono disposti lungo il corridoio d’uscita. La scena successiva la potete vedere in questo video.
Al passaggio del professore tutti applaudono e scandiscono il suo nome.
Il professor Novara passa in mezzo a quelle due ali di studenti, con il suo zainetto sulle spalle, e contraccambia il gesto d’affetto battendo a sua volta le mani ai ragazzi.
Un applauso che rimarrà certamente nelle sue orecchie e nella sua mente per sempre.
L’ultimo giorno di scuola nei pensieri del professor Novara
Le cronache riportano i pensieri del professore.
Come ci si prepara all’ultimo giorno di lavoro?
“Per tutto l’anno ho vissuto cercando di godermi le cose, pensando che ogni cosa era fatta per l’ultima volta, ho provato a vivere il presente in modo assoluto, come se dovesse durare per sempre. Ma non mi ero preparato al saluto dei ragazzi, questa è stata un’altra cosa”.
Cosa ha provato quando è uscito in corridoio?
“Sono rimasto assolutamente estraniato e mi chiedevo: ma cosa diavolo sta succedendo? E poi ho cominciato a camminare, non potevo stare fermo. È stata una sensazione estremamente emozionante, fortissima, irripetibile“.
Il prof. racconta che, per 40 anni, si è svegliato contento di andare a scuola per insegnare.
“Non lo raccontavo neanche tanto in giro perché o non mi credevano oppure scattava l’invidia. Ma la verità è che si può essere molto felici di essere un insegnante. E io per quarant’anni sono stato assolutamente felice”.
Di cosa è più orgoglioso?
“Di cosa sono più orgoglioso? Dei miei ragazzi, sempre!”.
I ragazzi come sono cambiati, se sono cambiati, in questi anni del suo insegnamento?
“I ragazzi, pur conservando delle caratteristiche immutabili nel tempo, sono cambiati perché è cambiato il mondo, sono cambiati i contesti e soprattutto sono cambiati gli adulti. Però sono convinto che alcune cose di fondo siano sempre le stesse: i ragazzi hanno innanzitutto una grande passione per le idee e bisogna aiutarli a portarla alla luce, svegliare le loro coscienze“.
Perchè dobbiamo riflettere su questo episodio?
Penso che gli spunti di riflessione siano tantissimi, ed ognuno avrà occasione di analizzare, se vorrà, questo o quell’aspetto. Credo che alcuni temi vadano in ogni caso posti in evidenza.
Innazitutto la visione che abbiamo del mondo della scuola…
Avere una visione sulla scuola e della sua funzione non è appiccicare il nome “made in Italy” ad un liceo.
Non è rivendicare i miglioramenti salariali (certamente dovuti come per ogni altra categoria del Pubblico Impiego sottovalutata e sottostimata grazie ad una pressante campagna sul presunto fancazzismo pubblico che non sussisterebbe nel privato, ma sappiamo tutti che quest’ultima affermazione non è vera).
La scuola deve tornare ad essere un luogo di formazione e confronto. Luogo di crescita per “teste pensanti” ed autonome.
Ai tempi del mio liceo c’erano i “paninari” e gli studenti con la kefiah. E poi c’erano i “cani sciolti”, quelli che nello zaino in tela militare avevano Il lupo nella steppa di Hermann Hesse e in Serpico un modello.
Mondi molto diversi tra loro ma dialoganti, a volte in modo “vivace” e turbolento, ma dialoganti sia pure tra grandi conflitti. In questi conflitti c’era molta vita perchè, come diceva il buon Eraclito, “Gli opposti si tengono. Non c’è l’uno senza l’altro“.
Ben vengano le classi per così dire “vivaci” (ovviamente nel rispetto delle regole e della buona educazione); abbiano un destino breve le classi di teste omologate nel modo di vestire e pensare.
Oggi i ragazzi, complice anche la loro immersione nella realtà virtuale dei social e del telefonino come appendice dei propri arti, non sanno discutere. Poi ci sono le eccezioni, ma sono mosche bianche e perle rare!
Il pensiero divergente torni ad essere un modo di approcciarsi alla realtà ed alla conoscenza di essa.
Poi i genitori…
Certamente sono cambiati, e certamente non in meglio.
E’ venuto meno il riconoscimento del ruolo educativo dell’insegnate.
Si è affermata la convinzione di comodo che non generare un conflitto interno quotidiano con il proprio figlio che non studia e non si vuole dotare di quegli strumenti che gli permetteranno di non essere un numero ma una “testa pensante”, è comodo.
Spesso i genitori, anzichè essere un’agenzia educativa, sono diventati i sindacalisti dei propri figli.
Nelle cronache leggiamo di ragazzi che hanno ferito docenti, sospesi e poi bocciati, i cui genitori si oppongono a tale decisioni. Posizioni legittime, certamente, ma, lo si permetta, non condivisibili.
Occorre riscoprire e far riscoprire quanto sia importante sbagliare. Farlo non è un dramma. Si cresce negli errori. Ci si corregge e ci si migliora.
E se errore c’è, è giusta la sanzione, perchè è demagogico e fuorviante far crescere nell’idea che tutto sia permesso e che chi avesse ben inteso la vita fosse solo il Marchese del Grillo col suo celeberrimo “Perchè io so’ io e voi non siete un cazzo“.
Infine gli insegnanti….
Credo debbano anche loro fare un passo avanti, avere voglia di dare un senso al proprio ruolo ed alla propria funzione educativa.
Devono riappropriarsi dell’orgoglio per il proprio ruolo che è fondamentale in ogni società. Ciò che a mio avviso deve guidare il loro operato deve essere, al di là dell’importanza della nozione da acquisire, insegnare un metodo, insegnare se mai è possibile ad essere critici e curiosi.
Gli alunni hanno bisogno di entusiasmarsi, sperare, pensare. Di crescere anche avendo modelli, da condividere o, perchè no, cui contrapporsi, poco importa.
Ciò che importa è il dialogo delle idee.
Ancora oggi, dopo tanti anni, un paio di miei professori li ricordo ancora (ricordo, fratel Aldo e Bottoni). Con loro non fu mai simpatia e condivisione, frequente la contrapposizione, ma ne apprezzo ancora oggi il ruolo educativo.
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